giovedì 27 ottobre 2016

La realtà virtuale e la psicoterapia con la sofferenza emotiva


In questo post affronto assieme a te il tema della psicoterapia legata alla sofferenza emotiva. In un certo senso qualcosa ti ho già accennato nel precedente post; tuttavia, restano alcune domande che hanno bisogno di una risposta. Ad esempio, qual è l’orientamento terapeutico più adatto per studiare e applicare la VR relativamente a quello di cui ti sto parlando? Quante sono le sedute di psicoterapia con tale strumento? Ci sono dei limiti alla sua applicabilità?

Veniamo alla prima domanda: l’orientamento terapeutico più efficace per curare attraverso la VR. Innanzitutto, immagino che tu sappia che la psicologia è composta da numerose sfaccettature e che, quindi, anche nel campo della psicoterapia esistono differenti orientamenti. Essi sono numerosi e non voglio annoiarti elencandoli tutti. Mi basta farti sapere che i tre principali sono i seguenti: psicoanalitico, sistemico-relazionale e, infine, quello cognitivo-comportamentale.



Quello psicoanalitico è l’orientamento psicoterapeutico più diffuso nell'immaginario comune: Freud, il suo lettino; Jung e gli archetipi, Adler, ecc.. Naturalmente, non esiste solo la psicoanalisi “classica”, ma anche quella “relazionale” (solo per farti un esempio). Di qualunque declinazione si tratti, quello che voglio prendere in esame qui è se e in che modo l’orientamento psicoanalitico entri in contatto con la VR. In un articolo del 2010, Irene Cairo afferma in modo chiaro che gli psicoanalisti hanno dovuto rivalutare molte delle loro visioni con l’inserimento della VR nella psicoterapia. Anche in un libro curato da Andrea Marzi, dal titolo Psicoanalisi, identità e Internet. Esplorazioni nel cyberspace viene ribadito lo stesso, sottolineando inoltre che l’influenza fra psicoanalisi e VR è reciproca: l’una influenza l’altra ed è a sua volta influenzata da quest’ultima. Sembra, comunque, mancare l’inserimento vero e proprio di procedure di VR in seduta. Quello di cui si parla è dei contributi a livello teorico che la psicoanalisi ricava dalla VR, ma non il suo utilizzo pratico e concreto per curare la sofferenza emotiva.
Anche l’orientamento sistemico-relazionale sembra difettare in questo aspetto. Forse l’orientamento sistemico-relazionale è in un certo senso anche più chiuso di quello psicoanalitico: infatti, mentre quest’ultimo ha affrontato la questione dell’identità virtuale, il primo non se n’è ancora sufficientemente occupato. Puoi leggere quello di cui ti parlo qui al presente link:

https://eugeniobedinipsy.wordpress.com/abstract/

Rimane solo un tipo di orientamento di cui parlare: quello cognitivo-comportamentale. Sono stati molti gli psicologi che hanno applicato in modo efficace questo indirizzo psicoterapeutico all'interno delle sedute con i loro pazienti. Beck, Watson, Bandura, Ellis, ecc. hanno, in modo diverso, messo il ruolo in luce sia il ruolo della cognizione sia del comportamento nel contribuire alla genesi di difficoltà emotive, come ansia e fobie. Ciò che hanno in comune VR e psicoterapia cognitivo-comportamentale è la visione del paziente come attivo costruttore della propria esperienza e del proprio cambiamento. Può quindi accadere che il terapeuta ad indirizzo cognitivo-comportamentale decida di utilizzare una VR per curare delle specifiche forme di fobia o ansia. Ti devo precisare che la declinazione dell’orientamento cognitivo-comportamentale rapportata alla VR assume il nome di terapia cognitivo-esperienziale. “Esperienziale” perché permette di fare un’esperienza davvero reale delle proprie difficoltà. La sola differenza è che lo stimolo non è materialmente presente, ma i suoi effetti sono assolutamente concreti.
Possiamo ora passare alla seconda domanda, direttamente collegata alla prima: quante sedute di psicoterapia con la VR sono necessarie per ottenere miglioramenti? Non è facile dare una risposta a questa domanda, al momento. Ci sono numerose variabili da tenere in considerazione: il problema presentato, i costi, il dispositivo di VR utilizzato. Come già sai, ci sono tipi di cure tramite VR autoapplicabili, ossia quelle che la persona può effettuare da sola e con il solo supporto a distanza (telefonico, ad esempio) dello psicologo. Ci sono poi VR, come quella di telepresenza immersiva virtuale (TIV) presente nell’Istituto Auxiologico di Milano, che necessitano di una persona esperta a fianco del paziente che monitori le sedute e il loro avanzamento. In entrambi i casi, è sempre scelta affidata all'esperto decidere la durata del trattamento, in base ai miglioramenti riscontrati nella persona presa in cura e al modo in cui evolvono le sue emozioni di volta in volta.
Per concludere, rispondo all'ultima domanda rimasta in sospeso. Infatti, la VR presenta numerosi vantaggi, ben documentati anche dalla letteratura scientifica, ma possono essere presenti anche dei limiti. Uno di essi riguarda, ad esempio, il fatto che la VR sembra applicarsi, al momento, a problemi specifici e circoscritti. Altre problematiche più ampie, come ad esempio la schizofrenia, hanno ricevuto ancora poca attenzione dalla letteratura di VR. Un interessante studio (in inglese) ha messo in luce questo, mostrando come al momento il trattamento della schizofrenia riguardi soltanto sue componenti specifiche (ad esempio, le funzioni cognitive e sociali) e non il livello più "alto", ossia quello della schizofrenia nel suo insieme:

Questo limite riguarda più in generale i problemi più ampi, che coinvolgono contemporaneamente numerosi aspetti (per esempio, anche la depressione). Tuttavia, gli studi stanno procedendo nella direzione di una migliore comprensione di queste criticità.

E anche per oggi è tutto. La prossima settimana descriverò una ad una le difficoltà emotive studiare e curate con la VR (so che era quello che attendevi... con ansia!
Al prossimo post!


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