In questo post affronto assieme a te il tema della psicoterapia legata alla sofferenza emotiva. In un certo senso qualcosa ti ho già accennato nel precedente post; tuttavia, restano alcune domande che hanno bisogno di una risposta. Ad esempio, qual è l’orientamento terapeutico più adatto per studiare e applicare la VR relativamente a quello di cui ti sto parlando? Quante sono le sedute di psicoterapia con tale strumento? Ci sono dei limiti alla sua applicabilità?
Veniamo
alla prima domanda: l’orientamento terapeutico più efficace per curare attraverso la VR. Innanzitutto, immagino che tu sappia che la psicologia è composta da
numerose sfaccettature e che, quindi, anche nel campo della psicoterapia
esistono differenti
orientamenti. Essi sono numerosi e non voglio annoiarti elencandoli tutti.
Mi basta farti sapere che i tre principali sono i seguenti: psicoanalitico, sistemico-relazionale e, infine, quello cognitivo-comportamentale.
Quello psicoanalitico è l’orientamento psicoterapeutico più diffuso
nell'immaginario comune: Freud, il suo lettino; Jung e gli archetipi, Adler,
ecc.. Naturalmente, non esiste solo la psicoanalisi “classica”, ma anche quella
“relazionale” (solo per farti un esempio). Di qualunque declinazione si tratti, quello che voglio prendere in esame qui è se e in che
modo l’orientamento psicoanalitico entri in contatto con la VR. In un articolo
del 2010, Irene Cairo afferma in modo chiaro che gli psicoanalisti hanno dovuto
rivalutare molte delle loro visioni con l’inserimento della VR nella
psicoterapia. Anche in un libro curato da Andrea Marzi, dal titolo Psicoanalisi, identità e Internet.
Esplorazioni nel cyberspace viene ribadito lo stesso, sottolineando inoltre
che l’influenza fra psicoanalisi e VR è reciproca: l’una influenza l’altra ed è
a sua volta influenzata da quest’ultima. Sembra, comunque, mancare l’inserimento vero e proprio di procedure di VR in seduta.
Quello di cui si parla è dei contributi a livello teorico che la psicoanalisi
ricava dalla VR, ma non il suo utilizzo pratico e concreto per curare la
sofferenza emotiva.
Anche l’orientamento
sistemico-relazionale sembra difettare in questo aspetto. Forse l’orientamento
sistemico-relazionale è in un certo senso anche più chiuso di quello
psicoanalitico: infatti, mentre quest’ultimo ha affrontato la questione
dell’identità virtuale, il primo non se n’è ancora sufficientemente occupato.
Puoi leggere quello di cui ti parlo qui al presente link:
https://eugeniobedinipsy.wordpress.com/abstract/
Rimane solo un tipo di orientamento di cui parlare:
quello cognitivo-comportamentale.
Sono stati molti gli psicologi che hanno applicato in modo efficace questo indirizzo psicoterapeutico all'interno delle sedute con i loro pazienti. Beck,
Watson, Bandura, Ellis, ecc. hanno, in modo diverso, messo il ruolo in luce sia
il ruolo della cognizione sia del comportamento nel contribuire alla genesi di
difficoltà emotive, come ansia e fobie. Ciò che hanno in comune VR e
psicoterapia cognitivo-comportamentale è la visione del paziente come attivo
costruttore della propria esperienza e del proprio cambiamento. Può quindi accadere che il terapeuta ad indirizzo
cognitivo-comportamentale decida di utilizzare una VR per curare delle specifiche
forme di fobia o ansia. Ti devo precisare che la declinazione dell’orientamento
cognitivo-comportamentale rapportata alla VR assume il nome di terapia
cognitivo-esperienziale. “Esperienziale” perché permette di fare un’esperienza
davvero reale delle proprie difficoltà. La sola differenza è che lo stimolo non
è materialmente presente, ma i suoi effetti sono assolutamente concreti.
Possiamo ora passare alla seconda domanda,
direttamente collegata alla prima: quante sedute di psicoterapia con la VR sono
necessarie per ottenere miglioramenti? Non è facile dare una risposta a questa
domanda, al momento. Ci sono numerose variabili da tenere in considerazione: il
problema presentato, i costi, il dispositivo di VR utilizzato. Come già sai, ci
sono tipi di cure tramite VR autoapplicabili,
ossia quelle che la persona può effettuare da sola e con il solo supporto a
distanza (telefonico, ad esempio) dello psicologo. Ci sono poi VR, come quella di
telepresenza immersiva virtuale (TIV) presente nell’Istituto Auxiologico di
Milano, che necessitano di una persona esperta a fianco del paziente che
monitori le sedute e il loro avanzamento. In entrambi i casi, è sempre scelta
affidata all'esperto decidere la durata del trattamento, in base ai miglioramenti
riscontrati nella persona presa in cura e al modo in cui evolvono le sue emozioni di volta in
volta.
Per concludere, rispondo all'ultima
domanda rimasta in sospeso. Infatti, la VR presenta numerosi vantaggi, ben
documentati anche dalla letteratura scientifica, ma possono essere presenti
anche dei limiti. Uno di essi riguarda, ad esempio, il fatto che la VR sembra applicarsi, al momento, a problemi
specifici e circoscritti. Altre problematiche più ampie, come ad esempio la
schizofrenia, hanno ricevuto ancora poca attenzione dalla letteratura di VR. Un
interessante studio (in inglese) ha messo in luce questo, mostrando come al
momento il trattamento della schizofrenia riguardi soltanto sue componenti specifiche
(ad esempio, le funzioni cognitive e sociali) e non il livello più "alto", ossia quello della schizofrenia nel suo insieme:
Questo limite riguarda più in
generale i problemi più ampi, che coinvolgono contemporaneamente numerosi
aspetti (per esempio, anche la depressione). Tuttavia, gli studi stanno
procedendo nella direzione di una migliore comprensione di queste criticità.
E anche per oggi è tutto. La prossima settimana descriverò una ad una le difficoltà emotive studiare e curate con la VR (so che era quello che attendevi... con ansia!
E anche per oggi è tutto. La prossima settimana descriverò una ad una le difficoltà emotive studiare e curate con la VR (so che era quello che attendevi... con ansia!
Al prossimo post!
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