giovedì 3 novembre 2016

Ansia e VR

Ciao! 
Oggi ti parlo di ansia e VR.


Il termine “ansia” non ti risulterà nuovo. Al giorno d’oggi, dominato da tempi più ristretti e da uno stile di vita maggiormente frenetico, capita più spesso di sentirsi “ansiosi”. Non credo, pertanto, che sia necessario che ti definisca cosa significhi. Quello che invece voglio che ti sia chiaro è che l’ansia non va confusa con lo stress, anch'esso molto diffuso tra le persone ai giorni nostri. In questo link viene spiegata in modo approfondito questa differenza tra i due concetti:


Come ti ricorderai, ieri ti avevo accennato ad un manuale, il DSM-5, che viene usato per classificare le sofferenze psicologiche, gravi e meno gravi, con l’utilizzo di criteri ben determinati. Anche l’ansia è stata inserita al suo interno, con diverse sfumature. Ad esempio, le fobie di cui ti ho parlato nel precedente post (tra cui rientrano le fobie specifiche, l’agorafobia e la fobia sociale) sono una forma di ansia, secondo quanto affermato in questo manuale. Ma non è tutto. Esistono anche: disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo d’ansia non altrimenti specificato, disturbo d’ansia dovuto ad altra condizione medica o ad uso di sostanze, disturbo d’ansia da separazione, mutismo selettivo e, infine, altri disturbi d’ansia specificati. Come puoi vedere, esistono diverse forme di ansia, ognuna delle quali solleva specifici problemi per la persona che ne soffre. Non ti descriverò le manifestazioni di ognuna di esse, né ti illustrerò tutti i tipi di cure realizzati per affrontarle, ma ti parlerò di quelle studiate nell'ottica di una terapia cognitivo-esperienziale, ossia quella che fa uso della VR all'interno delle sue procedure di trattamento.

Uno dei maggiori successi della VR in questo ambito, oltre alla fobie, è quello della cura del disturbo d’ansia generalizzato. L’ansia che caratterizza il disturbo non è concentrata o originata da un particolare oggetto o situazione. I sintomi caratteristici sono paragonabili a quelli degli stati d'allarme e da numerosi segni e sintomi fisici, come emicraniapalpitazionivertigini e insonnia, difficoltà a concentrarsi, tensione muscolare, irrequietezza. Oltre a questi sintomi "fisici" se ne possono accompagnare di cognitivi, come ad esempio sensazione di testa vuota, di distacco dal sé o dalla realtà. Come puoi notare, è un disturbo di una certa gravità e causa molto disagio nella persona che ne soffre. La VR è venuta incontro, fornendo degli strumenti utili al riguardo. Ad esempio, in uno studio di Gorini e collaboratori del 2010, intitolato “Virtual reality in the treatment of generalized anxiety disorders” viene descritta l’efficacia di un trattamento con VR consistente in un’applicazione installata su uno smartphone. Nello specifico, in alcune sessioni sperimentali, il paziente poteva esplorare, attraverso un visore di realtà virtuale montato sulla testa, una bella isola tropicale, seguendo un predeterminato cammino che conduceva a differenti aree rilassanti: falò, spiaggia, cascata. Mentre il paziente faceva ciò, poteva sentire una voce rilassante. Anche a casa sua egli poteva esplorare lo stesso ambiente, con l’applicazione virtuale installata sullo smartphone. Il risultato ottenuto in quella ricerca è molto incoraggiante: alla fine del trattamento, le persone coinvolte hanno ottenuto degli importanti miglioramenti nei livelli del loro disturbo d'ansia Se sei curioso di vedere come possa funzionare un’applicazione simile, non hai bisogno di altro che di uno smartphone con sistema operativo Android o iOS e di un visore di realtà virtuale (ne puoi trovare alcuni anche a 10€) e scaricare l’applicazione “E-motions VR” (nel link qui in basso puoi vederla sull’Apple store):

https://itunes.apple.com/it/app/e-motions-vr/id1078914251?mt=8

Quest’applicazione è molto simile nei suoi principi generali a quella utilizzata nello studio di Gorini e collaboratori di cui ti ho parlato. Essa è utile anche per affrontare rabbia e tristezza. Qui sotto puoi vederne un'immagine.



Veniamo ora al disturbo di panico. Esso può presentarsi assieme all’agorafobia e consiste, come suggerisce anche il nome, in un brusco aumento dell’intensità dell'ansia, la quale raggiunge un picco molto alto in un breve lasso di tempo, durante il quale si possono manifestare alcuni dei seguenti sintomi: palpitazioni, sudorazione, agitazione, sensazione di mancanza d’aria o di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di instabilità, sensazione di “testa leggera” o di svenimento, confusione mentale, brividi o vampate di calore, sensazioni di intorpidimento o di formicolio, sensazione che ciò che si vede o percepisce non sia reale, o sensazione di essere staccati da se stessi, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire. L’attacco di panico, dunque, è la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si consuma in circa dieci minuti. Un team francese, coordinato da Antoine Pelissolo, ha dimostrato, in un articolo del 2012 dal titolo “Virtual reality exposure therapy versus cognitive behavior therapy for panic disorder with agoraphobia: A randomized comparison study” che si possono ottenere significativi miglioramenti sottoponendo i pazienti a vari scenari per loro ansiogeni, come la metropolitana o il supermercato. Il dispositivo di VR è sempre lo stesso: il visore di realtà virtuale montato sulla testa della persona e l’applicazione per smartphone. Cambia solo il tipo di applicazione utilizzato.
Anche altri studi hanno confermato l’efficacia della VR per curare il disturbo di panico.
Per quello che so e sono riuscito a reperire, questi sono i disturbi d’ansia in cui la VR ha dimostrato la sua efficacia. Inutile specificarti che si sta lavorando per cercare di inserire in modo efficace la VR all'interno degli altri disturbi d’ansia elencati ad inizio post. 

Quello di oggi è l’ultimo post con il quale ho esplorato il rapporto tra VR ed emozioni, nello specifico quelle legate alla sofferenza. Purtroppo non riesco ad esplorare il rapporto fra VR e disturbi alimentari come ti avevo già anticipato, poiché mi devo “trasferire” su di una presentazione scientifica e su un paio di ricerche. Nel caso tu fossi interessato a continuare il blog, basta che scriva un commento oppure mi contatti su Facebook. Gli unici requisiti che ti chiedo sono quelli di essere appassionato di psicologia, meglio ancora se applicata alle cose che riguardano il mondo virtuale (in questo caso, anche i Social Network, le identità virtuali, la Dipendenza da Internet, ecc. rientrano perfettamente nel tema) e di argomentare bene le tue opinioni, con immagini ed esempi tratti dalla tua esperienza, ricerche oppure tue ipotesi. 



Ti ringrazio per l'attenzione che mi hai dedicato fino ad ora! Che la tua curiosità non si fermi qui, ma continui a viaggiare oltre.

mercoledì 2 novembre 2016

Fobie e VR

Ciao, sono tornato dopo questa breve pausa per parlarti delle fobie

Immagino che tu già sappia che la fobia è una paura. Sarà capitato anche a te di avere paura di un qualcosa, magari un insetto, oppure del buio quando eri piccolo, senza sapere il motivo per cui accada questo. Secondo quanto affermato nel DSM-5 (un manuale per diagnosticare le psicopatologie, che vanno da quelle meno a quelle più gravi) una fobia è definibile come una paura o ansia marcata verso un oggetto o verso in situazioni specifiche. Ci sono vari tipi di fobie, tutte facenti parte, sempre secondo questo importante manuale psichiatrico, dei disturbi d’ansia. In effetti, se tu ci provi a pensare, una persona che ha la fobia di un qualcosa sperimenta molta ansia, che si può manifestare in sudorazione, panico e altre reazioni emotive di carattere negativo. Tornando ai vari tipi di fobie, vengono individuate tre categorie: fobia specifica, agorafobia e fobia sociale. Di ognuna di loro ti parlerò in questo post, specificando poi i modi utilizzati per curarle con la VR.


La fobia specifica è la fobia a cui tu potresti essere più abituato a pensare. Viene definita come “paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici” (definizione contenuta nel DSM-5). La tua mente potrebbe pensare ad alcuni tipi di fobia specifica, come la fobia degli insetti (definita entomofobia), la fobia di volare in aereo (aerofobia) oppure la paura dei luoghi chiusi e/o di piccole dimensioni (claustrofobia). Tuttavia, sono convinto che nemmeno la tua immaginazione è così fantasiosa da poter trovare gli innumerevoli tipi di fobia esistenti. Se non ci credi, guarda questo link per farti una piccola idea della varietà di fobie specifiche (che, per giunta, non sono nemmeno prese in considerazione tutte):


Al momento, sembra che siano stati presi in esame alcune fobie specifiche nella letteratura scientifica, con risultati molto promettenti. Facendo riferimento ad alcuni studi riassuntivi dei risultati presentati, come quello di Botella e collaboratori (del 2004) dal titolo “Virtual Reality and Psychotherapy”, oppure quello più recente (del 2016) di Valmaggia e colleghi, intitolato “Virtual reality in the psychological treatment for mental health problems: An systematic review of recent evidence”, è possibile mettere in luce ricerche che hanno l’obiettivo di curare la…:
·         Paura di volare. Esiste un programma per curare l’aerofobia.


Esso è denominato CAFFT (Computer Assisted Fear of Flying Treatment); si basa nel principio di adattamento mediante l’esposizione ripetuta agli stimoli ansiogeni e consiste nel presentare, con un computer, immagini e suoni relazionati con il volo in aereo. Si suddivide in sei sequenze con immagini reali integrate che seguono un ordine cronologico. Così, la prima sequenza ricrea i preparativi, con azioni come l’acquisto dei biglietti e la preparazione delle valigie. La seconda sequenza corrisponde al viaggio verso l’aeroporto, ricreando i momenti in cui si ottiene la carta d’imbarco e l’attesa al gate. La terza, quella che genera maggiore ansietà, è il momento del decollo. La quarta corrisponde al volo e la quinta all'atterraggio. Infine, il programma include una sesta sequenza relativa ad incidenti nella quale vengono mostrate immagini catastrofiche, in modo che la persona sia preparata a gestire una notizia senza che questa le provochi ansia. Come puoi notare è un programma che ricrea in modo perfetto la situazione legata al volo.
·         Paura dei ragni. La paura dei ragni viene curata con un semplice visore di realtà 3D, in inglese chiamato “Head Mounted Display”.


La persona visualizza con i propri occhi un ragno ricreato nell'ambiente virtuale (ad esempio, la VR Oculus Rift). L’obiettivo finale è quello di permetterle di affrontare il ragno concreto e reale dopo diverse sedute di esposizione graduale allo stimolo virtuale.
·         Paura di guidare. Esistono anche in questo caso diversi studi che tentano di valutare l’efficacia di realtà virtuali per curare l’amaxofobia, ossia la paura di guidare. Senza entrare troppo in dettaglio, ti posso dire che lo strumento utilizzato potrebbe essere quello mostrato qui in questa immagine, consistente in una sorta di consolle simile a quella che puoi vedere anche nelle sale giochi.


Certo, naturalmente la componente di divertimento non è qui presente e la persona che presenta questa paura è seguita nella sua graduale esposizione alla guida simulata.
·         Claustrofobia. La paura degli spazi chiusi è un altro dei temi indagati nelle ricerche della realtà virtuale. I luoghi chiusi di cui una persona può avere paura sono molti: l’ascensore, piuttosto che una stanza piccola, ecc. In un certo senso, una delle controindicazioni della VR è data dal senso di claustrofobia che può creare. Tralasciando comunque questo aspetto, che rimane superficiale, in uno studio di Botella e colleghi del 1998 (“Virtual environments for the treatment of claustrophobia”) sono stati creati due ambienti potenzialmente ansiogeni per un soggetto con claustrofobia: l’ascensore e la stanza di una casa. In ognuno di essi, sono state ricreate situazioni tali da esporre la persona ad un più elevato livello di difficoltà, intese nel senso che sono state manipolate caratteristiche dell'ambiente per renderlo più pauroso. Ad esempio, la stanza diventava sempre più piccola o la porta dell'ascensore poteva essere bloccata, dopo essere in un primo tempo aperta.
·         Acrofobia. Per certi aspetti simile alla paura di volare, l’acrofobia consiste nella paura delle altezze e del vuoto. In California sono stati sviluppati dei sistemi di VR per superare questa fobia: in uno di essi, il paziente deve passare sopra di un profondo burrone attraversandolo sopra un ponte sospeso nel vuoto, con tavole strette. L’uso di questo sistema con 32 pazienti ha dato il 90% di successi. 
·         Paura di affrontare un esame. Nell’Università Cattolica di Milano è stata sviluppata un’app per smartphone per venire incontro agli studenti che hanno paura ad affrontare un esame. Si chiama S-360 ed è organizzata in giorni. Va ripetuta alcune volte al giorno, pochi giorni prima dell’esame. La sua efficacia non è stata ancora provata, ma essa sembra molto promettente.


Queste paure sono dei prototipi di fobia specifica. Rimane comunque sempre possibile, nel caso una persona manifesti una fobia diversa da quelle sopra citate, realizzare una VR appositamente costruita per trattare un determinato tipo di problema.

Per quanto riguarda l’agorafobia, essa consiste fondamentalmente nella paura ad attraversare vasti spazi aperti.
Le ricerche di VR che hanno tentato di indagarla sono moltissime e non è necessario che mi dilunghi a passarle in rassegna tutte. Nel caso fossi interessato ad approfondire questo genere di fobia, ti rimando all’articolo di Valmaggia e collaboratori a cui ti ho accennato in precedenza. Quello che qui mi interessa è descriverti un possibile ambiente per curarla, fra i molti, cosicché tu ti possa rendere conto di quanto efficace, oltre che realistico, risulta il trattamento con VR. A tal proposito, questa volta voglio che tu guardi con i tuoi occhi questo video (senza necessariamente ascoltare le parole, bastano le immagini), nel quale sono ricreati ambienti stressanti per una persona con agorafobia:

Come vedi, in un certo senso è molto semplice poter far fronte a questa fobia (come del resto altre) a livello di strumentazione. Si tratta solo di mettersi in gioco, rimanendo comunque seguiti da una figura professionale. I rischi con VR sono decisamente minori da quello che avviene con esposizione dal vivo del soggetto.

Infine, ti voglio parlare della fobia sociale, definita anche disturbo di ansia sociale, è la paura intensa e pervasiva di trovarsi in una determinata situazione sociale. Le situazioni sociali generano, in chi soffre di tale fobia, pensieri negativi, sudorazione, sentimenti di vergogna imbarazzo, paura del giudizio altrui; al più, la persona può anche evitare in modo sistematico le situazioni sociali che generano in lei, appunto, questo genere di disagio, aumentandone il livello di isolamento. Posso dirti che la fobia sociale è stata declinata nella VR in vari modi: uno di essi è la paura di parlare in pubblico. La paura di parlare in pubblico è una sorta di prototipo di fobia sociale, in quanto rappresenta perfettamente i suoi elementi qui sopra descritti. A tal proposito, sono state sviluppate diverse applicazioni smartphone per curare la fobia sociale: si può pertanto parlare di fronte ad una classe virtuale, ad un auditorium di persone, ad un convegno, ecc.., venendo seguiti da uno psicologo, che gradualmente espone l paziente ad un maggiore livello di intensità emotiva, variando alcune caratteristiche dell'ambiente virtuale. Un’app famosa a tal proposito risulta quella di Public Speaking, che qui puoi vedere meglio descritta:

E anche per oggi è tutto. Spero di non averti annoiato. Ho cercato di essere il più breve possibile, ma come hai potuto vedere c’è molto da dire e le scoperte non finiscono mai! Domani parlerò di ansia e VR. Al prossimo post!



giovedì 27 ottobre 2016

La realtà virtuale e la psicoterapia con la sofferenza emotiva


In questo post affronto assieme a te il tema della psicoterapia legata alla sofferenza emotiva. In un certo senso qualcosa ti ho già accennato nel precedente post; tuttavia, restano alcune domande che hanno bisogno di una risposta. Ad esempio, qual è l’orientamento terapeutico più adatto per studiare e applicare la VR relativamente a quello di cui ti sto parlando? Quante sono le sedute di psicoterapia con tale strumento? Ci sono dei limiti alla sua applicabilità?

Veniamo alla prima domanda: l’orientamento terapeutico più efficace per curare attraverso la VR. Innanzitutto, immagino che tu sappia che la psicologia è composta da numerose sfaccettature e che, quindi, anche nel campo della psicoterapia esistono differenti orientamenti. Essi sono numerosi e non voglio annoiarti elencandoli tutti. Mi basta farti sapere che i tre principali sono i seguenti: psicoanalitico, sistemico-relazionale e, infine, quello cognitivo-comportamentale.



Quello psicoanalitico è l’orientamento psicoterapeutico più diffuso nell'immaginario comune: Freud, il suo lettino; Jung e gli archetipi, Adler, ecc.. Naturalmente, non esiste solo la psicoanalisi “classica”, ma anche quella “relazionale” (solo per farti un esempio). Di qualunque declinazione si tratti, quello che voglio prendere in esame qui è se e in che modo l’orientamento psicoanalitico entri in contatto con la VR. In un articolo del 2010, Irene Cairo afferma in modo chiaro che gli psicoanalisti hanno dovuto rivalutare molte delle loro visioni con l’inserimento della VR nella psicoterapia. Anche in un libro curato da Andrea Marzi, dal titolo Psicoanalisi, identità e Internet. Esplorazioni nel cyberspace viene ribadito lo stesso, sottolineando inoltre che l’influenza fra psicoanalisi e VR è reciproca: l’una influenza l’altra ed è a sua volta influenzata da quest’ultima. Sembra, comunque, mancare l’inserimento vero e proprio di procedure di VR in seduta. Quello di cui si parla è dei contributi a livello teorico che la psicoanalisi ricava dalla VR, ma non il suo utilizzo pratico e concreto per curare la sofferenza emotiva.
Anche l’orientamento sistemico-relazionale sembra difettare in questo aspetto. Forse l’orientamento sistemico-relazionale è in un certo senso anche più chiuso di quello psicoanalitico: infatti, mentre quest’ultimo ha affrontato la questione dell’identità virtuale, il primo non se n’è ancora sufficientemente occupato. Puoi leggere quello di cui ti parlo qui al presente link:

https://eugeniobedinipsy.wordpress.com/abstract/

Rimane solo un tipo di orientamento di cui parlare: quello cognitivo-comportamentale. Sono stati molti gli psicologi che hanno applicato in modo efficace questo indirizzo psicoterapeutico all'interno delle sedute con i loro pazienti. Beck, Watson, Bandura, Ellis, ecc. hanno, in modo diverso, messo il ruolo in luce sia il ruolo della cognizione sia del comportamento nel contribuire alla genesi di difficoltà emotive, come ansia e fobie. Ciò che hanno in comune VR e psicoterapia cognitivo-comportamentale è la visione del paziente come attivo costruttore della propria esperienza e del proprio cambiamento. Può quindi accadere che il terapeuta ad indirizzo cognitivo-comportamentale decida di utilizzare una VR per curare delle specifiche forme di fobia o ansia. Ti devo precisare che la declinazione dell’orientamento cognitivo-comportamentale rapportata alla VR assume il nome di terapia cognitivo-esperienziale. “Esperienziale” perché permette di fare un’esperienza davvero reale delle proprie difficoltà. La sola differenza è che lo stimolo non è materialmente presente, ma i suoi effetti sono assolutamente concreti.
Possiamo ora passare alla seconda domanda, direttamente collegata alla prima: quante sedute di psicoterapia con la VR sono necessarie per ottenere miglioramenti? Non è facile dare una risposta a questa domanda, al momento. Ci sono numerose variabili da tenere in considerazione: il problema presentato, i costi, il dispositivo di VR utilizzato. Come già sai, ci sono tipi di cure tramite VR autoapplicabili, ossia quelle che la persona può effettuare da sola e con il solo supporto a distanza (telefonico, ad esempio) dello psicologo. Ci sono poi VR, come quella di telepresenza immersiva virtuale (TIV) presente nell’Istituto Auxiologico di Milano, che necessitano di una persona esperta a fianco del paziente che monitori le sedute e il loro avanzamento. In entrambi i casi, è sempre scelta affidata all'esperto decidere la durata del trattamento, in base ai miglioramenti riscontrati nella persona presa in cura e al modo in cui evolvono le sue emozioni di volta in volta.
Per concludere, rispondo all'ultima domanda rimasta in sospeso. Infatti, la VR presenta numerosi vantaggi, ben documentati anche dalla letteratura scientifica, ma possono essere presenti anche dei limiti. Uno di essi riguarda, ad esempio, il fatto che la VR sembra applicarsi, al momento, a problemi specifici e circoscritti. Altre problematiche più ampie, come ad esempio la schizofrenia, hanno ricevuto ancora poca attenzione dalla letteratura di VR. Un interessante studio (in inglese) ha messo in luce questo, mostrando come al momento il trattamento della schizofrenia riguardi soltanto sue componenti specifiche (ad esempio, le funzioni cognitive e sociali) e non il livello più "alto", ossia quello della schizofrenia nel suo insieme:

Questo limite riguarda più in generale i problemi più ampi, che coinvolgono contemporaneamente numerosi aspetti (per esempio, anche la depressione). Tuttavia, gli studi stanno procedendo nella direzione di una migliore comprensione di queste criticità.

E anche per oggi è tutto. La prossima settimana descriverò una ad una le difficoltà emotive studiare e curate con la VR (so che era quello che attendevi... con ansia!
Al prossimo post!


mercoledì 26 ottobre 2016

Lo studio delle emozioni nella VR


Oggi è venuto il momento di parlare di un argomento molto importante, che è il motivo per il quale ho voluto aprire questo blog: le emozioni studiate tramite la VR.
Ogni giorno tu sperimenti diverse emozioni: gioia, paura, sorpresa, rabbia, tristezza, e così via. Avrai notato che le tue emozioni sorgono il più delle volte per un evento reale scatenante: hai paura di un ragno o del buio, ad esempio; puoi essere felice quando qualcuno ti fa un regalo o arrabbiato quando qualcuno ti fa un torto; puoi essere triste quando un film ti fa piangere, ma come noterai c’è sempre un qualcosa di esterno, presente nel mondo reale, che fa scaturire in te una specifica emozione. Quando sei immerso in una VR, possono entrare in gioco le emozioni? Se sì, quali sono i tipi di emozione indagati maggiormente dagli psicologi e quali strumenti sono stati da essi sviluppati per metterle in luce?
Per rispondere a queste domande, vorrei prima di tutto che pensassi a quanto hai letto in uno dei miei precedenti post riguardo, per esempio, alla VR immersiva: dato che essa assorbe completamente la persona nel suo mondo, isolandola dall’ambiente circostante, è naturale pensare che tale immersione avvenga non soltanto a livello cognitivo, ma anche motivo. Questo lo puoi constatare anche pensando al senso di presenza di cui ti ho già parlato. Da quanto detto finora, sembra quindi che la risposta alla prima domanda, ossia se entrino in gioco le emozioni durante la sperimentazione di una VR sia affermativa; tuttavia, voglio fornirti qualche ulteriore esempio tratto da diverse fonti in modo tale che tu ti possa convincere il più possibile che quello che ti sto dicendo è vero. Posso farti pensare, ad esempio, al giornalismo immersivo: si tratta di una forma di narrazione di fatti di cronaca nel quale lo spettatore non legge gli eventi narrati, ma li sperimenta direttamente, in prima persona. Immagino che tu, nel caso non fossi a conoscenza di questa cosa, ti sia stupito. Anche a me è capitata la stessa cosa! Guarda questo link per informarti meglio di ciò di cui sto parlando:
La realtà del giornalismo è solo una fra le molte in cui vengono suscitate emozioni. Oltre a quelle ti cui ti ho parlato nei precedenti post, il maggiore utilizzo che viene fatto dei dispositivi di VR per stimolare le emozioni riguarda in modo particolare i videogiochi o, più in generale, tutto quello che è relativo all’intrattenimento.Nel link sottostante puoi vedere 10 entusiasmanti applicazioni usufruibili grazie al dispositivo di VR Oculus Rift:
Quello di cui ti ho parlato finora è solo un piccolo assaggio del vasto mondo di emozioni reali sperimentabili attraverso l’utilizzo di un mondo virtuale. Lascio a te il compito, se vorrai, di andare ad esplorare anche altri mondi di cui non ti ho parlato qui.
Veniamo ora alla domande sollevate in precedenza e a cui non ho ancora risposto: che tipo di emozioni vengono studiate nella VR e quali strumenti le hanno affrontate?. Prima di rispondere a questa domanda, ti voglio anticipare i due ambiti legati alle emozioni indagati dagli psicologi: uno riguarda l’ambito della “normalità” (che ho messo fra virgolette perché è difficile, in psicologia, pervenire ad una definizione esatta di normalità, ammesso che essa esista) e l’ambito della sofferenza psicologica. Come avrai immaginato, il secondo è quello più esaminato, per il semplice fatto che gli psicologi cercano di esplorare maggiormente in che modo la VR possa essere d’aiuto per le persone, e la sofferenza è uno dei contesti in cui è necessario un aiuto ben calibrato. Ho accennato in un post precedente alla cura delle fobie. Di fobie ne esistono molte, alcune delle quali più conosciute, mentre altre invece possono essere perfino bizzarre: esistono l'agorafobia, l'aracnofobia, l'aerofobia, la claustrofobia, l'eritrofobia, ecc., che hanno tutte in comune un aspetto: la persona sperimenta un'intensa paura scatenata dall'evento temuto oppure anche dal solo pensiero che quest'ultimo accada.


Sono stati sviluppati dei dispositivi di VR per risolvere queste problematiche: per quanto riguarda, ad esempio, la paura di volare (aerofobia), è stato sviluppato il CRAFFT (Computer Assisted Fear of Flying Treatment). Lascio qui il link per poterti permettere di visualizzare in cosa consista il CRAFFT.
http://www.angolopsicologia.com/2011/02/trattamento-delle-fobie-con-la-realta.html
Quello che voglio sottolineare è che tale strumento è autoapplicabile, cioè non è necessario uno psicologo  accanto per utilizzarlo, ma la persona può sottoporsi a delle sedute di questa VR da sola, facendo riferimento all'appoggio professionale solo tramite telefono oppure attraverso Internet. Di altri strumenti di VR per la cura delle fobie ti parlerò in un post successivo, appositamente dedicato a questo tema.
Vi sono poi le cure delle ansie. Un percorso di cura classico prevede come eventualità la somministrazione di medicinali per tentare di affrontare in modo adeguato questo problema, ma questo aspetto è assolutamente superabile con l'utilizzo della VR.
Senza entrare troppo nel dettaglio sui dispositivi di VR per la cura delle ansie, ti posso dire quali sono i tipi di ansia (o di disturbi ad essa riconducibili) trattati in modo efficace da tale realtà: il disturbo di ansia generalizzato, il disturbo da stress post-traumatico, il disturbo ossessivo-compulsivo. Da un certo punto di vista, anche le fobie sono delle forme in cui l'ansia si manifesta. Anche per l'ansia verrà dedicato un post specifico.
Potresti osservare che sia le fobie sia l'ansia non hanno nulla a che fare con le emozioni. In effetti, potrebbero sembrarti solo dovute ad una disfunzione legata ai determinati pensieri che una persona fa. Ma non dimenticarti che alla base del pensiero ci sono le emozioni. Come direbbe Herbert Spencer: "L'opinione è determinata in ultima analisi dai sentimenti e non dall'intelletto", come a voler dire: sono le emozioni a determinare i nostri pensieri. Guarda il contenuto di questo link, se non ti senti ancora convinto.
http://www.cure-naturali.it/benessere-naturale/1271/ansia-emozione/2748/a
Ti sembrerà forse strano, a questo punto, che inserisca nel mio discorso anche la cura di anoressia e obesità con la VR? Anche qui le emozioni sono profondamente in gioco:
http://www.stateofmind.it/2012/03/cyberpsicologia-realta-virtuale-anoressia/
Oggi ho fatto solo una panoramica generale sullo studio delle emozioni con la VR, dedicandomi in modo particolare alla sofferenza legata ad esse e alla loro cura. Nei prossimi post parlerò nello specifico di ciascuna delle problematiche affrontate oggi: fobie, ansia e disturbi alimentari. Prima di fare questo, dedicherò il post di domani ad approfondire l'approccio psicologico, nella VR, alle emozioni.
Al prossimo post! 


martedì 25 ottobre 2016

La realtà virtuale all’interno della psicologia

Oggi ti voglio parlare della VR all’interno della psicologia. Ti descriverò brevemente le origini della fusione di questi due ambiti e ti elencherò le principali applicazioni della VR nella psicologia.
Sembra che l’inserimento della VR all’interno delle scienze umane nasca originariamente nel campo medico, precisamente nel 1989, quando Jaron Lanier coniò il nome “Virtual Reality” e si mise ad esplorarne le potenzialità, fondando la VPL Research. Dopo pochissimi anni, la VR venne inserita anche all'interno delle ricerche psicologiche. Ad esempio, già nel 1994 Max North pubblicò uno studio nel quale descriveva la VRT, ossia la Virtual Reality Therapy, e indagava diversi tipi di ansia e fobia. Se sei interessato, guarda questo link, che ti permette di visualizzare lo studio completo dell’autore, in inglese:
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.217.1498&rep=rep1&type=pdf.

Le applicazione della VR in psicologia riguardano sostanzialmente tre ambiti:

·         L’apprendimento.


Forse ti starai stupendo guardando questa immagine. Si tratta di militari che stanno eseguendo un addestramento virtuale. Guarda questo link per farti un’idea di come anche in campo militare si stiano modificando numerosi aspetti con l'inserimento della VR:
Quello che voglio più in generale dirti è che la VR è molto utile per quello che riguarda l’apprendimento, ossia l’imparare un determinato qualcosa. Immagino che tu ora stia pensando alla scuola, che in effetti è il tipico luogo legato all'apprendimento. E in effetti, anche in questo campo dell’istruzione ci sono degli sviluppi: lampante appare quello attuato in una scuola del Giappone, la quale ha attivato un corso interamente virtuale: servono 3 anni di presenza virtuale per ottenere il diploma. Cliccando sul link sottostante puoi vedere più nel dettaglio questa recente innovazione:
L’apprendimento con la VR riguarda anche numerose figure: manager, terapisti e piloti hanno usufruito di esperienze virtuali, traendone grande vantaggio per quanto riguarda la formazione nell'ambito del loro lavoro.

·         La terapia.


La terapia o, più specificamente, la psicoterapia, serve ad affrontare e tentare di risolvere i problemi psicologici delle persone. Come sai, questo blog è dedicato alle emozioni nella VR. In un certo senso, è proprio un disequilibrio, un malfunzionamento o più in generale una difficoltà emotiva sottostante, di cui si può non essere per giunta consapevoli, a contribuire in larga misura a quella che viene definita psicopatologia, uno dei modi in cui la sofferenza psicologica si manifesta. Per farti capire meglio, pensa alla psicopatologia come ad una sorta di qualcosa che dà una precisa "forma" alla sofferenza psicologica. Quella che vedi qui sopra è un’immagine che illustra il trattamento di una fobia, l’aracnofobia (la paura dei ragni), molto comune tra le persone. Per quanto semplice possa sembrare, il trattamento dell'aracnofobia con la VR si è dimostrato molto efficace e il miglioramento è ottenibile in un numero minore di sedute rispetto a quelle che servono con la psicoterapia classica. Nello studio di North, di cui ti ho parlato sopra, sono descritti esperimenti riguardo appunto l’aracnofobia; se vuoi, guarda questo link, per non dannarti troppo nel tentare di leggere in inglese:

http://bsound.bskilled.it/il-trattamento-dellaracnofobia-attraverso-la-realta-virtuale/

·         La riabilitazione.

Ti voglio dire fin da subito che il settore della psicologia che si è occupato maggiormente della riabilitazione è la Neuropsicologia, che in poche parole tenta di indagare le basi concrete, nel cervello, della mente e di tutto quello che è ad essa riconducibile. Questa feconda branca di studi tenta in poche parole di stabilire un collegamento diretto fra mente e corpo. Il modo di vedere le cose che essa offre permette, inoltre, di dare uno specifico orientamento all'applicazione della VR in ambito riabilitativo. Due sono gli aspetti nei quali viene fatta riabilitazione: essi sono le componenti cognitive e motorie. Le componenti cognitive riguardano, come hai già saputo leggendo il precedente post, ciò che è relativo al pensiero (memoria, attenzione, percezione, ecc.), mentre le componenti motorie sono legate, come puoi intuire dal nome, al movimento. Queste ultime sono quelle che, in modo particolare, attirano maggiormente l’attenzione degli specialisti e non solo. 


La riabilitazione con RV coinvolge sia adulti che i soggetti in età pediatrica. Ad esempio, per quanto riguarda questi ultimi, degno di nota è Lokomat (che puoi vedere nell'immagine qui sopra), una VR con la quale vengono curati bambini affetti da diversi invalidanti disturbi, fra i quali ti posso citare la paralisi cerebrale e la distrofia di Duchenne. Per quanto riguarda gli adulti, davvero molto interessante è il recente studio di una giovanissima ricercatrice, Dalila Burin, sulla VR come aiuto per le persone colpite da ictus. Un paziente colpito da ictus può sperimentare il corpo virtuale come suo, compiendo movimenti con parti del corpo paralizzate! Se non ci credi, guarda questo video, nel quale la stessa Dalila illustra il suo progetto:

https://www.youtube.com/watch?v=DZ_hKNQKs0w

Anche per oggi è tutto. Spero di aver stimolato anche oggi la tua curiosità verso la VR.

Al prossimo post!

lunedì 24 ottobre 2016

La realtà e le realtà virtuali

In questo post vorrei parlarti della Realtà Virtuale (VR): ti dirò che cosa è, descriverò le sue caratteristiche e ti illustrerò, con delle immagini, alcuni dei dispositivi che permettono di poterla vivere. Una definizione di VR da un punto di vista tecnologico, viene fornita in un articolo del 2007 da Giuseppe Riva, psicologo tra i massimi esperti a livello italiano e internazionale di questo tema: molto semplicemente, essa consiste in “strumenti di input”, predisposti per acquisire informazioni sulle azioni del soggetto e integrate poi dal computer, e da “strumenti di output”, ossia i device che restituiscono alla persona il mondo virtuale, composto il più delle volte da stimolazioni visive e sonore e, in alcuni casi anche gustative e olfattive (se non credi che un odore possa essere sperimentato in una VR, guarda questo link: http://www.focus.it/natura/realta-virtuale-molto-reale).
In base a queste poche semplici constatazioni, ti sarai reso conto del motivo per cui si chiami “realtà” e non “illusione” virtuale! Se non avesse un certo qualcosa che la rende così tangibile e concreta per i nostri occhi, forse non sarebbe stata chiamata così. Naturalmente, non basta solo un insieme di sensazioni a rendere un aspetto virtuale reale. Allora, che cos'è che rende così reale questa esperienza? Tu puoi sentire l’odore di prosciutto mentre stai mangiando un panino imbottito e guardando un video su YouTube, ma sai benissimo che quel video non ti dà quella sensazione di “reale”. Sono lo stesso Riva e i suoi collaboratori a formulare un'interessante considerazione in merito a ciò: è il “senso di presenza” la variabile che dà risposta alla questione della percezione di realtà da parte di una persona. Molto semplicemente, il senso di presenza è il sentire se stessi presenti durante l’esperienza di VR. Ti sarà capitato, delle volte, sentirti più presente in una determinata situazione che in un’altra. Quando ti annoi e la tua mente inizia a vagare nei meandri dei suoi pensieri ti senti meno presente nella realtà rispetto a quando sei immerso in un qualcosa, magari un’attività per te piacevole. In quest’ultimo caso, non mi stupirebbe se tu dicessi che eri "presente con tutto te stesso". Il costrutto del senso di presenza fa proprio riferimento a questo. Esso è generato dal rapporto fra componente percettiva, ad esempio tattile o visiva, e la componente interattiva, data dal fatto che la persona all’interno dell’ambiente virtuale compie delle azioni in modo tale da definire la propria esperienza interiore. Secondo Riva e colleghi, è proprio il senso di presenza a fare da ponte fra il pensiero (la “cognizione”, per usare le parole degli psicologi), relativo alla programmazione e controllo dell’azione in risposta a determinate condizioni ambientali, e la volontà (la “volizione”), che riguarda il controllo e l’esecuzione dell’azione in base ai bisogni e obiettivi delle persone. Non voglio, comunque, trascinarti in un discorso troppo tecnico, pertanto ora vorrei parlarti dei vari tipi di VR. Ne esistono tre:

·         Realtà virtuale immersiva.



Una VR è immersiva quando, appunto, “immerge” la persona al suo interno, in modo tale da creare “assorbimento e isolamento sensoriale nell’ambiente tridimensionale generato dal computer” (per usare le esatte parole di Riva). Tale isolamento può essere generato da diversi strumenti: un casco, capace di visualizzare un ambiente generato al computer, e dei sensori di posizione, che rilevano i movimenti della persona. L’immagine qui sopra è stata tratta da uno studio sulla cura della depressione con la VR (se vuoi informarti meglio in merito a questa ricerca, ti lascio questo link: http://www.tecnoandroid.it/2016/02/18/realta-virtuale-curare-la-depressione-con-un-avatar-165540).

·        Realtà virtuale non immersiva.


È la realtà a cui immagino che tu sia più abituato a pensare. Al posto del casco è presente un monitor o videoproiettore; per ottenere una visuale in modalità stereoscopica servono appositi occhiali.

·       Realtà virtuale semi-immersiva.



In questo tipo di VR l’ambiente virtuale viene retroproiettato e sostituisce le pareti di una piccola stanza (guarda l’immagine qui sopra per capire cosa intendo).
Se le caratteristiche della VR semi-immersiva vengono abbinate a quelle della VR immersiva, ecco allora che si possono ottenere realtà simili a quelle implementate dall’Istituto Auxiologico di Milano (con questo link, potrai scoprire quanto sia interessante quello di cui di sto parlando: http://www.auxologico.it/2016/06/nasce_l_era_della_cybertherapy_in_medicina/), nel quale è possibile sperimentare una Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV).

Sei curioso di sapere ora come la Realtà Virtuale entri in gioco in psicologia? Non devi far altro che aspettare domani per gli aggiornamenti!

Introduzione e scopo del blog

Ciao!
Mi presento: sono Luca, studente di Psicologia con una grande passione: la Psicologia, appunto. Certo, dicendo questo posso intendere molte cose, e immagino che la tua mente abbia subito pensato a Freud o Jung. Ma non è così! ;-) Forse hai già sentito parlare di Realtà Virtuale. Al giorno d’oggi, bene o male anche tu ne hai fatto esperienza, sia indirettamente (magari l’hai sentita soltanto nominare da qualche amico, oppure l’hai vista tra le notizie su Internet), sia direttamente. Nel caso in cui tu abbia fatto esperienza in prima persona di ciò che offre la Realtà Virtuale, immagino che dentro di te abbia avuto diversi pensieri (spero belli! :-) ) e, molto probabilmente, emozioni. Ed è di questo che ti voglio parlare: delle emozioni nella Realtà Virtuale. Con questo blog, spero di arricchire sia le tue conoscenze in merito a ciò, sia (ed è quello che voglio di più) la tua curiosità in questo ambito. Le emozioni sono una delle cose più importanti della nostra vita, grazie alla quale noi possiamo interagire con questo mondo e con le persone che ne fanno parte. Indagare il rapporto che esse hanno con la Realtà Virtuale è un modo per farti capire meglio come interpretare il cambiamento che quest’ultima sta offrendo a noi e per mettere in luce le sue potenzialità in ambito terapeutico, ossia di cura per le persone che hanno difficoltà con le emozioni.


Per ora tutto. Alla prossima! ;-)